Agli inizi del 1100, il fondovalle della Destra Brenta era un’interrotta distesa di boschi, scarsamente popolata, con un’unica contrada Campese con un centinaio di persone dedite alla pastorizia e all’agricoltura. La situazione cominciò a cambiare dopo il 1124, con la fondazione del monastero benedettino di Campese da parte dell’abate Ponzio di Cluny di ritorno dalle crociate.

Ben presto, ad opera di alcuni coraggiosi pionieri che qui vennero a porre la propria dimora come affittuari del convento, iniziò il disboscamento ed il popolamento (o ripopolamento) del territorio di mezzacosta e della lunga striscia di terra tra il fiume e il monte. Uno dei primi contratti stilati dal convento riguardò il territorio attraversato dal nostro sentiero, e proprio il tratto di mezzacosta chiamato “Guaiva”. Siamo nel 1177, una quarantina d’anni dopo la fondazione del monastero. Il coraggioso pioniere che si avventurò quassù rispondeva al nome di Martino, che ricevette in affitto dal priore di Campese un “sedime” (terra con casa, probabilmente in legno) di sei campi di terra e un prato, per un canone annuo di pochi soldi e 24 “opere” (giornate lavorative per il monastero).

Ma vediamo cosa riserva il nostro percorso.

Dopo uno sguardo alla bella chiesa tardo neo classico con le due caratteristiche torri campanarie, e superate le ultime case del centro, si imbocca una tra le più antiche strade (mulattiere) testimonianza dell’antica utilizzazione del territorio. Oltrepassata la Val Brutta, non appena il sentiero comincia a salire, si incontrano i caratteristici terrazzamenti (“banche” per quelli del posto), ricavati sui ripidi pendii del monte per la coltivazione del tabacco, quasi unica fonte di sopravvivenza della popolazione per almeno due secoli, dalla seconda metà ‘700 a metà ‘900. Interessante osservare qui la regimentazione e la raccolta dell’acqua. Tutto il territorio rivela sempre continue sorprese, attraverso segni solo apparentemente insignificanti, come la pietra “Aste di Coltegno” (all’incrocio tra il nostro sentiero e la mulattiera della montagna) usata per calare a valle i grossi blocchi di marmo utilizzati per la costruzione della chiesa alla fine del ‘700.

E ancora, i secolari castagni, disseminati ovunque. Un magnifico esemplare, proprio lungo il percorso, con i suoi 9 metri di circonferenza, è senza dubbio uno dei più grandi del Veneto. Un tempo le castagne erano fondamentali per l’alimentazione degli abitanti della vallata, ma arrivavano anche ai mercati della Serenissima. Il grido “maroni de Campoeongo” lo si poteva sentire ancora un secolo fa tra le bancarelle del mercato di Rialto in Venezia. E i prati, che ancora sopravvivono, a fatica, sulle pendici di mezzacosta, punteggiate di casette, raccolte nelle “contrade” di Guaiva, Forcella, Coltegno, Prè… E poi tanti altri luoghi tutti ricchi di storia, a testimonianza di una “saggia” presenza dell’uomo sulla montagna, ‘presenza ora scomparsa’, ma sempre più necessaria.

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